Autonomia scolastica: istruzioni per l'uso
Una rivoluzione che si può anche assaggiare a piccoli morsi
Una vera e propria rivoluzione sta per abbattersi sulla scuola e si chiama autonomia scolastica.
La si può a buona ragione definire una rivoluzione copernicana, perché sposta dal centro alla periferia quasi tutto il potere di indirizzare ed organizzare la scuola, concedendo ai singoli istituti autonomia didattica e organizzativa, di ricerca, sperimentazione e sviluppo. Una vera e propria rivoluzione sta per abbattersi sulla scuola e si chiama autonomia scolastica.
Questo è esattamente quanto prevede l'art. 21 della legge n. 59/97, che porta il nome del ministro Bassanini. In forza dei tale legge, i Capi d'istituto diventano Dirigenti scolastici ed hanno più facoltà d'intervento, col conseguente onere di rispondere in merito ai risultati raggiunti dalla istituzione che dirigono. Ma non solo i Capi d'istituto acquistano maggiore forza. Anche i docenti avranno un'accresciuta libertà didattica, mentre la scelta dei genitori delle scuole che ritengono più adatte ai propri figli, ne determinerà di fatto lo sviluppo di alcune a discapito di altre, facendo quindi nascere una sana emulazione, che le costringerà a migliorare la qualità del servizio. Il Consiglio d'Istituto, da parte sua, non programmerà più solo le gite scolastiche e poco altro, ma si occuperà della stipula di convenzioni, autorizzerà sponsorizzazioni e compartecipazioni esterne di enti pubblici e privati, delibererà di attivare servizi, anche a pagamento, offerti dalla propria istituzioni e riceverà più soldi per progetti di innovazione e crescita dell'offerta formativa.
In questo rinnovato quadro normativo, ogni scuola predispone il "Piano dell'offerta formativa", che è il documento fondamentale costitutivo della identità culturale e progettuale delle singole unità formative.
Mentre la scuola centralistica puntava tutte le sue chances sull'uguaglianza delle opportunità didattiche, la scuola dell'autonomia, che andrà a pieno regime dal 1° settembre 2000, al contrario, punta sulla diversità e sgancia le singole istituzioni educative da norme imposte dal centro, le quali non tenevano in alcun conto le esigenze del territorio. La nuova normativa, che deve essere considerata un vero e proprio processo di deregolamentazione, tiene invece in giusta considerazione le diversità territoriali, etniche, linguistiche, religiose, storiche esistenti all'interno dei confini nazionali. E, soprattutto, tiene conto delle vocazioni degli alunni, a cui non va imposto più di seguire un percorso prestabilito a prescindere dai propri interessi.
Il decreto legislativo di riforma del Ministero della Pubblica Istruzione completa il quadro riformatore, chiudendo entro il 2000 i Provveditorati agli studi che, veri custodi degli indirizzi centrali, avevano compiti di vigilanza e coordinamento, assegnavano fondi, per lo più a pioggia, e detenevano il potere di nomina del personale docente.
Sul piano organizzativo, le istituzioni scolastiche adotteranno, per quanto riguarda l'impiego dei docenti, ogni modalità che sia espressione della libertà progettuale, adatteranno il calendario scolastico in relazione all'offerta formativa, ed organizzeranno in modo flessibile l'orario delle lezioni.
Come si vede la libertà di azione è pressoché totale.
Ma è qui che sorge il bello. Alcuni temono che non sia agevole volare senza paracadute. Anzi alcuni temono che proprio le scuole del Sud - dove, è risaputo, non c'è un'abitudine all'imprenditorialità ed a volare senza i limiti, lo scudo e la protezione dei Provveditorati - non riusciranno a fare neanche un piccolo balzo in avanti e la situazione potrebbe addirittura peggiorare. Altri ritengono che l'emulazione tra le scuole possa innescare processi competitivi ai limiti della scorrettezza.
Allora è qui opportuno dare qualche consiglio, in maniera che l'autonomia non risulti inappetibile proprio per coloro i quali hanno sempre lamentato il burocratismo delle istituzioni, che le decisioni venivano prese altrove, senza coinvolgere le idee, le intelligenze e le energie del mondo della scuola.
Innanzitutto occorre dire che l'autonomia è una bicicletta. Non potranno, quindi, esserle addebitati testate contro un palo se chi sta sopra non la sa guidare. Ma per evitare fallimenti plateali basta non agitarsi, perché l'autonomia non è un obbligo ma una possibilità. Se una scuola è già soddisfatta, il suo Collegio dei docenti può decidere di continuare esattamente come prima. Se invece si vuole provare a cambiare, non c'è bisogno obbligatoriamente di grandi modifiche, ma si proceda operando solo quei cambiamenti per i quali ci si sente preparati, lasciando le scelte future alla gradualità. Per esempio, una delle cose da fare subito potrebbe essere l'adeguamento del calendario scolastico e dell'orario delle lezioni, per meglio rispondere alle esigenze locali e consentire a tutti gli alunni una flessibilità di fruizione didattica e maggiori possibilità formative. Un errore plateale sarebbe procedere ad adattamenti del calendario scolastico e decidere la flessibilità oraria sulla base delle esigenze dei docenti, con la riduzione delle giornate lavorative e del tempo scuola, che vanno invece notevolmente ampliati, onde offrire un più ampio ventaglio di opzioni a tutti gli studenti. Visto l'enorme sciupio di tempo libero, bruciato sui muretti o davanti al video, mi sa tanto che le nuove generazioni abbiano bisogno di più scuola e di una quantità maggiore di formazione.
All'obiezione che noi meridionali non abbiano grande capacità progettuale, mentre con l'autonomia scolastica occorre lavorare molto di creatività ed intraprendenza, si può rispondere che proprio la nostra scuola riformata potrà servire a educare giovani più intraprendenti e con maggiore capacità di iniziativa personale, facendo della formazione - non più dell'assistenza - il centro motore del nostro riscatto economico e culturale.
Infine la risposta all'ultima obiezione. L'emulazione può trasformarsi in competizione? Effettivamente è un rischio ed è opportuno che gli operatori, gli utenti ed i vari enti vigilino affinché ciò non avvenga. Ma non vi è rischio maggiore della sonnolenta burocrazia educativa e dell'appiattimento professionale e retributivo, laddove gli operatori venivano considerati tutti ugualmente bravi, a prescindere di qualsiasi valutazione e senza minimamente rispondere alla società di quello che facevano.